Alla fine di ogni Cre ci si chiede sempre cosa ci si porta a casa da un’esperienza del genere, ma da ciò che è stato seminato nasce sempre qualcosa di prezioso. Anche il tema delle emozioni tocca questo argomento nell’ottica della generatività. Com’è possibili essere generativi per sé e per gli altri? Ne abbiamo parlato con don Andrea Cuni Berzi, sacerdote della diocesi di Bergamo ordinato lo scorso 28 maggio.
Lungo tutto il Cre, abbiamo parlato di emozioni. Le emozioni ci definiscono, ci mettono in relazione con l’altro e, ogni volta, scopriamo qualcosa di noi grazie al nostro vissuto emotivo: è così che si trova il proprio posto nel mondo. Nell’arco del tuo percorso di crescita, cosa ti ha aiutato ad ascoltare la tua sfera emotiva? Quali sono stati gli strumenti più importanti per la tua crescita?
Per rispondere a questa domanda uso l’immagine della macedonia. La macedonia è fatta di tanti frutti a pezzettini che, messi insieme, fanno una pietanza buonissima e credo che le emozioni legate al trovare il proprio posto nel mondo siano sempre assimilabili in due passaggi. Nella prima parte i frutti più grandi vengono spezzettati, mentre nello step successivo i diversi pezzi di frutta vengono uniti a formare, appunto una macedonia buonissima. Anche con le emozioni funziona così. Ci sono delle emozioni a cui è difficile dare un nome, alcune sono un po’ scomode e altre sono ingombranti, ma se penso al mio cammino, ci sono delle persone che mi hanno aiutato a rileggere ciò che provavo pezzo dopo pezzo. Le emozioni più complesse non sono degli ostacoli o dei mostri, nella loro complessità possono essere prese a piccoli pezzi e analizzate con più criterio. Più che di strumenti parlerei di persone: devo molto a chi mi hai guidato in questi anni, dagli amici alla guida spirituale in seminario, perché mi ha aiutato in questo percorso di riconoscimento del mio vissuto emotivo. Anche la fase successiva della sintesi è molto preziosa e questa l’ho vissuta dando spazio alla preghiera in cui si porta davanti al Signore ogni emozione che hai provato. Tutti questi pezzi posti davanti al Signore diventano una macedonia buonissima.
Una volta scoperto il proprio io, ci si chiede cosa si vuole fare “da grandi”. Lo scorso maggio, hai scelto di prender il tuo posto nel mondo come prete della nostra diocesi. Cosa rappresenta per te questa scelta? A cosa associ la parola “servizio”? Perché?
Quando si è bambini e si sogna cosa si vuole diventare da grandi si guarda sia indietro che in avanti. Si guarda al futuro, ma ciò che ci viene spontaneo fare è guardare chi abbiamo alle spalle perché cerchiamo dei modelli belli per prenderli come punto di riferimento e iniziare a sognare in grande. Sono diventato prete lo scorso 28 maggio perché ho incontrato dei sacerdoti che sono stati per me dei modelli e, guardandomi indietro, ho capito come qualcuno sia sempre preso di cura di me. Come i miei modelli si sono spesi per la mia persona, anch’io voglio ricambiare mettendomi al servizio. Ho ricevuto delle emozioni belle e anch’io le dono: per me il servizio è questo. L’esperienza della vita ci insegna che prima ricevi e poi restituisci per quel che puoi. Quando ti rendi conto che sei sempre perennemente in debito e puoi restituire in maniera grata allora significa che si ha un cuore aperto, vivo e pronto per mettersi al servizio.
Anche spendersi come animatore o coordinatore può essere considerato un servizio. È un’esperienza che in qualche modo, lascia qualcosa in più nel tuo bagaglio. Come è possibile far fruttare l’esperienza del Cre nella propria vita? Hai qualche consiglio per rileggere quanto vissuto?
Vivo l’esperienza del Cre da quando ho sette anni -posso dire di non aver mai smesso- e tutti i Cre mi hanno regalato qualcosa di diverso: un po’ per le varie parrocchie che ho incontrato, un po’ perché ogni anno porta con sé delle dinamiche nuove. C’è, però, un punto di contatto che ritrovo ovunque: il Cre lega in sé tantissime persone dai bambini più piccoli fino ai volontari più cresciuti. Il Cre ha la forza di unire la comunità e, se posso dare un consiglio agli animatori e coordinatori, è quello di vivere quest’esperienza come una palestra di emozioni. È un’occasione da cogliere a pieno mettendosi in ascolto e riconoscendo le emozioni sia proprie che dell’altro. Penso che il Cre riesca a creare quegli incontri che cura sia il nostro aspetto interiore che a rispettare il vissuto emotivo dell’altro. Da qui emerge l’empatia attraverso cui si sperimenta la misericordia del Vangelo: ci si mette sulla stessa lunghezza d’onda di qualcun altro e il Vangelo si realizza.
Il Cre è un’esperienza di comunità molto forte. Si passa molto tempo insieme, tutti si sentono coinvolti e inevitabilmente si guarda anche al futuro, alla prossima esperienza da vivere insieme perché ci siamo sentiti bene: come si può sfruttare lo slancio del Cre? Che cosa può fare un oratorio per essere un luogo generativo?
Il Cre, solitamente, può essere visto in due modi complementari. Nel primo caso il Cre è visto come un punto di partenza. Si può effettivamente ripartire da qui per rilanciare ciò che poi accade durante l’anno. Dall’altra parte, invece, troviamo chi lo considera come una conclusione e il culmine del cammino dell’anno pastorale. Sono entrambi scelte valide, molto belle e con delle buone argomentazioni. Ciò che è certo è che vale ancora la pena investire sull’esperienza del Cre. Qui si creano delle relazioni talmente belle che possono essere davvero le basi di un nuovo cammino insieme. Il gruppo animatori, spesso, diventa il gruppo adolescenti che si trova durante l’anno: magari non vengono tutti, ma il legame resta. Nell’oratorio in cui prestavo servizio l’anno scorso è successa una cosa che mi ha fatto comprendere a pieno la forza delle relazioni al Cre. Il gruppo dei preadolescenti ha vissuto un po’ di fatiche all’inizio perché era un gruppo abbastanza eterogeneo. Nonostante i primi attriti, però, dalla seconda settimana in poi si incontravano per fare colazione insieme tutte le mattine prima di venire al Cre. È stato un gesto nato da loro e credo che ci insegni tanto: quando si vive un’esperienza bella è portato di sua spontanea volontà a portarla avanti. Il Cre è un’esperienza di comunità laddove questa comunità è un bacino che fa accadere cose belle.
Un augurio di fine Cre a tutti gli oratori.
L’augurio più bello che si possa fare è che il Cre, come ogni esperienza della vita, possa avere il profumo del Vangelo.