Sull'esempio di don Milani

Don Lorenzo Milani si pone come un testimone vicino e capace di lanciare nuove sfide nel presente anche al Cre 2023

Il prossimo Cre avrà come fulcro due temi già molti cari agli oratori: la cura e il servizio. Si può dire che questi due aspetti sono la missione assunta soprattutto nell’arco del periodo estivo, momento in cui il Cre mostra ogni ingranaggio della comunità muoversi all’unisono con l’obiettivo comune di accompagnare i più piccoli nella crescita. Bambini e ragazzi sono al centro di un’azione di cura in cui gli adolescenti vestono i panni dell’animatori, i giovani si assumono la responsabilità di giocarsi nel ruolo di coordinatori, i sacerdoti dedicano gran parte del loro tempo all’oratorio e gli adulti della comunità aiutano come possono inserendosi nel progetto come volontari. Un villaggio che si muove per curarsi dei più piccoli.

 

Se la cura e il servizio sono sempre stati gli assi portanti del Cre. Ora ci si chiede come sia possibile renderli ancora di più protagonisti dell’esperienza estiva. Non è un passaggio da dare per scontato perché per essere “TuXTutti” serve anche una buona dose di coraggio. La stessa che ha caratterizzato don Lorenzo Milani, un sacerdote di origini toscane che non si lasciò intimorire dai richiami per il suo operato “troppo rivoluzionario”. Il 27 maggio prossimo ricorrerà il centenario dalla sua nascita ed è proprio lui ad essere stato scelto come testimone della cura del Cre 2023. Accanto alla figura del Buon Samaritano, protagonista del Vangelo scelto come sottotitolo, don Lorenzo Milani si pone come un testimone vicino e capace di lanciare nuove sfide nel presente.

Non solo le sue azioni, ma anche la sua storia ha molto da insegnare: tutto concorre in quel “I CARE” scritto sulle pareti della scuola di Barbiana. Don Lorenzo Milani nasce il 27 maggio 1923 a Firenze. I suoi genitori sono di religione ebraica, ma, con l’avvento delle leggi razziali negli anni ’30, scelgono di sposarsi secondo il rito cattolico e di battezzare i figli. Crescendo, don Milani studierà presso l’Accademia di Brera salvo poi scegliere di entrare in seminario per diventare sacerdote. Viene ordinato il 13 luglio 1947 e, nonostante i suoi genitori non condividano a pieno la scelta, lo sopporteranno negli anni del suo servizio.

 

La sua esperienza da sacerdote inizia nella parrocchia di San Donato a Calenzano, un piccolo paese nella periferia di Firenze in via di industrializzazione. Proprio lì fonda una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia. Una decisione che destò qualche malcontento tra i sacerdoti delle parrocchie limitrofe. Il suo operato, infatti, viene subito considerato scomodo per l’epoca. Per questo motivo, nel dicembre del 1954, è assegnato alla parrocchia di Barbiana: un borgo con una sola canonica senza corrente elettrica e senza una strada per arrivarci, dispersa tra una manciata di cascine sparse sulle pendici del monte Giovi. Di fatto è una sorta di esilio per la cura e l’attenzione dimostrate nei confronti degli operai e dei contadini che desiderava istruire. L’obiettivo di don Milani era, infatti, crescere dei “buoni cristiani e onesti cittadini” (per dirlo con le parole di San Giovanni Bosco), ovvero delle persone che potessero fare la differenza nella società perché partecipi e corresponsabili di una vita che riguarda tutti da vicino. Il giovane prete vuole dare loro la parola, elemento indispensabile per comprendere la Parola con la P maiuscola.

 

Anche a Barbiana riesce a raccogliere attorno a sé i ragazzi e le ragazze che vivono nelle cascine della zona e inizia a fare scuola. La scuola per don Milani è impegno, è assunzione di responsabilità, è adesione alla situazione dell'altro. Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande “I CARE”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a cuore". È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”. Assumere la responsabilità dell'altro significa confrontarsi con le situazioni che diventano domande a cui rispondere. Il sentirsi responsabili e coinvolti nella situazione dell'altro rende possibili la conoscenza e l'ascolto. L'”I CARE” implica la capacità di uscire da sé per assumere i problemi dell'altro. Ed educare equivale a problematizzare, ad essere scomodi per trasformarsi e trasformare.

 

Tutto ciò cosa può dire a tutto coloro che si cimenteranno nel Cre? Cosa può lasciare la figura di don Lorenzo Milani ad animatori, coordinatori, sacerdoti, volontari, a ogni piccolo e prezioso ingranaggio della comunità educante? Basta portarsi a casa -e nel cuore- quel “I CARE”: mi sta a cuore. Non significa caricarsi in spalla i più piccoli, ma accompagnarli in questo breve tratto della loro crescita. Se ci sarà qualche piccolo inciampo, si disinfetterà la sbucciatura (tra le classiche lacrime da coccodrillo) e si ripartirà con il cammino. Ogni educazione parte da ciò che ha, dal mondo, dalla vita di ogni piccolo di cui siamo chiamati a prenderci cura con lo stesso stile di quel “I CARE” scritto sulle pareti della scuola di Barbiana.

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