Uno spazio per prendersi cura di noi stessi
Il TuXTutti parte dalla cura del sé. Luca Melocchi: "Si parte da sé per prenderci di cura di chi ci viene affidato"
Se le diciamo TuXTutti a cosa pensa?
Il titolo di quest'anno mi ricorda il detto dei tre moschettieri: “Uno per tutti e tutti per uno”. Il pensiero va subito alla collaborazione che si estende e va in profondità fino ad arrivare a una chiamata personale alla cura e all’attenzione nei confronti dell'altro.
Quest’anno il tema del Cre sono la cura e il servizio: cosa rappresentano queste due parole per la sua professione?
Credo che il concetto di cura sia legato a doppio filo alla professione psicologica. Senza dubbio il ruolo dello psicologo prevede anche la cura di alcuni sintomi o di psicopatologie. Penso che -non di meno- preveda un prendersi cura più umano dell’altro e del rendersi prossimi: riuscire a stare a fianco del paziente anche nei suoi luoghi più bui. Il tema del servizio, invece, credo che possa declinarsi ancora di più in questa professione. Il termine clinico, uno degli ambiti in cui lavora la psicologia, deriva dal greco “kliniké” che significa “ai piedi del letto”. Il mio servizio si sintetizza in questo significato: andare incontro al paziente che soffre con anche modalità nuove e da reinventare ogni giorno.
La cura e il servizio si possono agire in diversi ambiti e uno di quelli ripresi dal manuale del Cre è la cura del sé. Cosa significa prendersi di cura di se stessi?
Prendersi cura di se stessi implica un accentramento dello sguardo di compassione verso di sé. La cura del sé è uno sguardo accogliente nell'ottica del non giudizio: è necessità di accogliere i propri bisogni anziché di giudicarli. È un tempo da sperimentare personalmente nella nostra quotidianità. Nel concreto, questo accentramento di sguardi si traduce in gesti e abitudini per la cura del proprio corpo -dal mangiare sano all’esercizio fisico fino alla cura dell’aspetto fisico- e per la cura della propria mente. Nonostante le azioni legate alla propria salute mentale siano meno evidenti, rimangono fondamentali per il nostro benessere: dovremmo riuscire a creare uno spazio per il nostro sé nella nostra routine. É un modo per strappare dal nostro tempo veloce alcune ore per del tempo lento e dedicato. Non è sempre facile creare uno spazio nella propria mente da dedicare alla cura di sé, ma penso che il primo passo per riuscirsi sia il ricordarci di noi.
Come può un educatore accompagnare coloro che gli sono affidati nel percorso della conoscenza di sé?
In quanto esseri umani -bambini, preadolescenti e adolescenti- procedono per imitazione. Qui l’educatore non è tanto chiamato a prendersi cura di loro, ma ad essere un esempio con le proprie azioni. Come è possibile, però, guidarli per andare in profondità? Il gesto più importante -e anche il più bello- che un educatore possa fare è dare spazio a chi viene affidato. Significa esserci, essere presenti per questo mese di fatiche, gioie, stanchezza ed entusiasmo. Anche qui, nella frenesia di quello che può essere il Cre, occorre partire da un momento di ascolto vero e sincero. È un ascolto della parola, la via privilegiata per mediare il proprio stato d’animo, ma anche del linguaggio non verbale. Spesso bambini, preadolescenti e adolescenti non sono molto abituati ad utilizzare la parola per comunicare. Soprattutto in situazioni di sofferenza, è il corpo a comunicare. Per questo motivo credo fortemente che, nella formazione dell'educatore, vada inclusa una rilettura del non verbale perché è ciò che ci fa cogliere il valore dell'altro con umiltà e professionalità. A un educatore non è chiesto di essere un supereroe o di salvare delle persone. È chiamato ad accogliere con umanità la persona che gli viene affidata e a condividere un percorso di crescita con essa. Ecco perché l’ascolto è il primo grande passo da fare.
Cosa può fare un oratorio per accrescere la consapevolezza della cura di se stessi? Quali buone prassi si possono mettere in campo?
Il processo per accrescere questa consapevolezza inizia dal rendersi conto che, quando si parla di oratorio, non si sta parlando di un luogo, ma di più persone che lì trovano -chi più e chi meno- un punto d’incontro e di riferimento. Lo step successivo è quello di accogliere la realtà attraverso un ascolto empatico, non giudicante e offrire tempi, ma anche luoghi di confronto. Realizzare tutto ciò significa prendersi cura prima di tutto degli educatori più che degli “utenti” perché sono ingranaggi fondamentali di queste azioni di cura. Ci si prende cura degli educatori grazie alla formazione che aiuta ad allenare uno stile comune attraverso cui muoversi all’unisono. Una volta fatti questi primi passi, ogni oratorio risponderà alla sua realtà in base alle esigenze e alle particolarità della stessa. Ad esempio, nell’oratorio di Ranica -in cui collaboro- in accordo con il parroco, i coordinatori del Cre e gli altri responsabili sono state introdotti dei momenti di confronto settimanale pensati per gli animatori. È un tempo e uno spazio in cui verificare il Cre, non dal punto di vista pratico, ma più sul versante educativo. In questi momenti di confronto personale, ciascun adolescente è libero di esprimere i propri sentimenti e di portare anche delle questioni personali. Questo perché il Cre, pur essendo un tempo speciale nell’arco dell’anno, è comunque in un tempo di vita: è un tratto del percorso di crescita degli animatori ed è da intendere in senso più ampio guardando alla totalità della persona.
Un consiglio a tutti gli oratori per vivere bene questa dimensione durante il Cre e non solo
Per prendersi cura degli altri, è necessario aiutare chi aiuta. E per farlo è importante imparare a chiedere aiuto quando necessario. In ogni esperienza ci sono aspetti positivi e lati più faticosi. La forza sta, nella fatica, avere il coraggio e la spinta a chiedere aiuto sia nella propria comunità che volgendo lo sguardo all’esterno. È vero che c’è molta fatica, tanta sofferenza e anche un po’ di pregiudizio quando si parla di cura di sé, ma, come esistono le difficoltà, esistono anche persone pronte ad aiutarti. Ascoltiamo la nostra realtà, prestiamo attenzione alle persone, stiamogli accanto e impariamo a chiedere aiuto: non siamo da soli, anche quando si tratta di sé.