Una storia bergamasca in Cantiere

Il dossier "Il Cantiere" di gennaio è dedicato all'oratorio e alla sua storia: su cosa si fonda l'oratorio del 2023? E quello del futuro?

Gennaio è tempo di buoni propositi e riflessioni su ciò che è stato e ciò sarà. Inoltre, questo mese per gli oratori rappresenta anche un’occasione per ringraziare e valorizzare ciò che sono e ciò che hanno. Anche se delle volte risulta complesso, il mese di gennaio diventa spesso quell’opportunità per aprire gli occhi e fare il punto della situazione di ciò che si sta vivendo in oratorio. L’ultimo numero de “Il Cantiere” ha proprio questo obiettivo: mettere al centro l’oratorio per comprenderne meglio le origini, tirare la riga del presente e provare ad immaginare il futuro prossimo. 

La riflessione di questo dossier parte dal prendere coscienza delle proprie fondamenta per poi viaggiare nel tempo tra intuizioni, scommesse e riflessioni su cui tornare. Il versetto di Vangelo scelto come titolo del numero uscito sabato scorso è “Ha costruito la sua casa sulla roccia” (Matteo 7,24) e l’interrogativo che ne segue è immediato: qual è la roccia su cui sono costruiti gli oratori bergamaschi? Guardando all’attualità, il commento al Vangelo e l’editoriale convergono su una risposta comune: le relazioni. “Su cosa fonda l’uomo la sua vita, su chi può contare? A dispetto di molta retorica pubblicistica che favorisce la mitomania del Selfie e del suo stretto parente self made man, il Vangelo ci riporta tutti a terra spingendoci a considerare che la rocciosità dell’esistenza sta nell’atto coraggioso di affidarsi ad-altro-da-sé, in quella fiducia di base per meno della quale non c’è vita umana”: suggerisce il commento al Vangelo. Dall’altra parte, nell’editoriale la relazione è riletta come fondamento, ma anche come oggetto su cui investire tempo e risorse: “Mi pare di poter dire che solo le buone relazioni sono la vera roccia sulla quale si può costruire, con la certezza che niente e nessuno riuscirà a far crollare quei muri che in genere non costano poco fatica e sudore - scrive il direttore UPEE don Emanuele -. Per ciascuno dei suoi ragazzi, san Giovanni Bosco era solito usare espressioni concise, personali e profonde: proprio loro le ricorderanno come ‘la parolina all’orecchio’ che si sentivano rivolgere di tanto in tanto dal Santo”. 

Le relazioni si confermano la roccia anche nell’oratorio di ieri nato da “uno sforzo comunitario”, di oggi visto come luogo d’incontro e di domani in cui la rete si delinea come la possibile soluzione alle intemperie moderne. Don Goffredo Zanchi, nella rubrica “Attenzione Scavi”, ripercorre la storia degli oratori bergamaschi evidenziando come il tutto sia nato dal desiderio di rispondere a un’esigenza collettiva, ma anche come sia stato complesso portare avanti una proposta che potesse prendersi cura delle giovani generazioni. Gli ostacoli e, di conseguenza, gli sforzi sul cammino di figure come quella di don Luigi Mozzi e don Luigi Maria Palazzolo (oggi Santo) non sono stati pochi. Tutt’altro: spesso si ritrovarono a ripartire da zero per via dei continui cambiamenti di governo oppure a prendersi di cura di chi, all’epoca, era considerato uno scarto. Nonostante ciò, nonostante non fossero in molti a credere nel progetto dell’oratorio, loro e altri uomini e donne hanno continuano a sognare prendendosi cura dei più fragili, dei giovani e degli emarginati gettando le basi per il massimo sviluppo degli oratori all’inizio del Novecento. “L’età d’oro degli oratori è stata preparata da una vasta serie di esperienze nel corso dell’Ottocento. Esse sono state oggetto di uno sforzo collettivo di valutazione, che ha rilanciato gli elementi validi con l’aggiunta di nuovi più adatti al tempo”: sottolinea don Goffredo Zanchi rilanciando la riflessione sul futuro prossimo. 

Se il passato può insegnare qualcosa, anche il presente può rilevare su cosa puntare per rilanciare l’oratorio del futuro. Tra interviste scritte e video podcast emerge come ogni esperienza di oratorio sia personale riconfermando il valore delle relazioni. C’è chi lo vede come una casa, chi come un laboratorio di talenti, chi ancora come un luogo in cui l’inclusività si fa davvero possibile: ognuno ha la sua esperienza e il suo immaginario per l’oratorio. Tutti, però, hanno in comune le stesse fatiche e la stessa felicità. “Quando esci dal tuo oratorio - racconta Simone Chiodini, educatore dell’oratorio di Seriate - ti rendi conto che siamo tutti sulla stessa barca. Avere la possibilità di confrontarti con qualcuno che condivide le tue stesse passioni, paure e gioie, è arricchente. Ciò ti permette di andare oltre la tua esperienza e trovare supporto in chi vive la tua stessa situazione”. 

Una casa, un laboratorio, un cortile, un luogo di ritrovo, ma anche una barca: nonostante l’oratorio sia descritto con tanti e diversi appellativi, tutti concordano su come le relazioni siano fondamenta e strumento per continuare a realizzare questo sogno. Non sarà un sogno facile da seguire, ma è decisivo per le giovani generazioni di cui la Chiesa - oggi come nell’Ottocento - è chiamata a prendersi cura. L’oratorio, ancora una volta, si rileva come strumento prezioso nelle mani di tanti sacerdoti e volontari che hanno scelto di crederci.
Il nuovo numero de “Il Cantiere” è disponibile sul sito www.ilcantieredioratoribg.it. Iscriviti alla newsletter per non perdere nessun approfondimento. 
 
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