Domine, quo vadis?

Convegno nazionale di pastorale giovanile. Don Pincerato: "Il servizio sia mite, umile, aderente alla realtà e grato"

“Domine, quo vadis?”: questa la domanda che Pietro rivolge a Gesù, questo l’interrogativo posto al centro del XVIII convegno nazionale di pastorale giovanile tenutosi a Sacrofano dal 6 al 9 maggio scorso. “Signore, dove vai?” è la domanda che si è fatta titolo dello stesso per “essere e sentirsi in cammino” come aveva annunciato don Riccardo Pincerato, direttore del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile (SNPG), a pochi giorni dall’inizio del convegno a cui hanno partecipato circa 500 incaricati di pastorale giovanile provenienti da tutta la penisola, tra cui era presente anche l’Ufficio Pastorale per l’Età Evolutiva dalla diocesi di Bergamo. Un cammino segnato dall’ascolto, dagli spunti di riflessione e dalla condivisione che hanno caratterizzato i quattro giorni trascorsi insieme. 

La domanda posta come titolo del convegno è stata non solo una guida, ma anche e soprattutto una provocazione grazie a cui mettersi nuovamente in gioco come pastorale giovanile e, con uno sguardo più ampio, come Chiesa nella sfida della prossimità rivolta alle giovani generazioni. “Dare futuro ai giovani non significa offrire loro un pacchetto, ma accompagnarli per scoprire con loro il cammino che li attende” ha sottolineato don Pincerato che ha concluso il convegno tracciando alcuni tratti dello stile con cui essere e fare pastorale giovanile. “Domine, quo vadis?” fa riferimento a un episodio – narrato negli Atti apocrifi – in cui Pietro fugge da Roma per allontanarsi dalla persecuzione. Sulla strada incontra Gesù e gli chiede “Signore dove vai?”, e Lui gli risponde “A Roma per farmi crocifiggere di nuovo”. Così Pietro capisce che è a Roma che troverà il Signore. “È un chiaro invito a non fuggire dal complesso e delicato compito di accompagnare i giovani” ha spiegato don Pincerato trovando nel passaggio “tornare a Roma” una metafora per indicare “il cuore dei giovani”, con la disponibilità anche a morire un po' per questa cura particolare. “Tornare a Roma – prosegue- significa superare la tentazione di andarsene via, di lasciare tutto. Dobbiamo tornare nella quotidianità dei giovani mettendoci in gioco con il nostro sguardo di fede”. 

Mettersi in cammino accanto ai giovani, quindi, chiede di mettersi al servizio in modo mite, umile, aderente alla realtà e grato. Questi i quattro aggettivi utilizzati dal direttore del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile e consegnati a tutti i presenti sia come augurio che come direzione. “Il nostro servizio sia mite, ovvero capace di sostare nelle varie realtà giovanili. Sto perché mi fido e mi affido, – ha spiegato don Pincerato – sto nel servizio e non come un eroe. L’affidato comprende di far parte di un progetto più grande di cui è strumento. Inoltre, il mite non è un debole: non controlla la vita, ma dà un senso alla vita che gli viene incontro. Il nostro servizio sia umile e non umiliato perché dotato, un’appartenenza comune, radicata alla terra. Sia aderente alla realtà perché capace di leggerla a livello territoriale e culturale ed in grado di comprendere come le nuove tecnologie la intercettino. Lasciamoci provocare e proviamo a comprendere come creare percorsi per i giovani perché non restino infantili, ma possano diventare adulti”. 

Uno “stare” nella realtà con mitezza, umiltà e aderenza che nei quattro giorni di convegno hanno trovato corrispondenza nelle diverse tematiche proposte. Cura, comunità, adultità e comunione sono stati i quattro pilastri attorno cui sono stati elaborati gli interventi e i lavori di gruppo pensati per scendere in profondità rispetto alle grandi sfide che i giovani vivono nell’oggi. Tra le varie tematiche affrontate non è mancata l’intelligenza artificiale, la dinamica relazionale riletta in una logica di comunità, l’interculturalità arricchita da un momento interreligioso vissuto insieme e il cammino di crescita che percorrono i giovani tra opportunità e difficoltà con l’obiettivo di diventare adulti. A pochi mesi dalla GMG di Lisbona, ultimo grande evento che ha visto circa due milioni di giovani coinvolti, è stato possibile interrogarsi sul valore di questi impegni su vasta scala rileggendone le criticità e i frutti. 

A completare il quadro dello stile con cui la pastorale giovanile è chiamata ad esserci sul territorio e nella realtà è l’aggettivo “grato”.  “La gratitudine – ha concluso il responsabile del SNPG – è la capacità dell’adulto di riconoscere che niente gli è dovuto. Siamo grati perché siamo un popolo in cui nessuno è padrone, nessuno è servo e tutti a servizio, tutti siamo chiamati ad essere custodi gli uni degli altri. Nell’azione di pastorale giovanile non basta dire ‘io mi prendo cura di te’, serve un ‘noi ci prendiamo cura di te’, noi come Chiesa. Usciamo dalla logica di onnipotenza per creare alleanze e non accontentiamoci di ciò che stiamo già facendo e vivendo. Agiamo la cura e facciamo ulteriori passi per andare oltre e tornare a Roma, al cuore dei giovani, senza paura di stare nelle domande con loro”.
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