Educatori in oratorio: di cosa c'è bisogno?

Il secondo incontro di "Educatore divento" si concentra sull'oratorio tra storia e presente

Quando si sceglie di essere educatori rispondendo “sì” a una chiamata della propria comunità, occorre sempre “guardarsi un po’ attorno” e andare a fondo del contesto in cui si è chiamati a spendersi. La storia che ci precede non solo arricchisce di senso il fare, ma dona anche una prospettiva futura a un servizio che viene “ereditato” e chiede un esercizio di memoria collettiva per custodirne l’ispirazione. Il secondo incontro formativo di “Educatore divento” ha messo al centro l’oratorio.

Muniti di carta e penna, gli educatori hanno prima scritto la loro storia dell’oratorio iniziando con il classico “C’era una volta…” per poi ripercorrere il documento “Il laboratorio dei talenti” che i Vescovi italiani hanno condiviso con la Chiesa nel 2013, riconoscendo il valore educativo e pastorale dell’oratorio. Si è partiti dal mettersi in ascolto dei passi fatti negli ultimi 500 anni da uno strumento che la Chiesa ha scelto e riscelto per prendersi cura delle giovani generazioni. A partire dell’intuizione di San Filippo Neri, l’oratorio ha assunto una forma che ha continuato ad evolversi in base alle esigenze riscontrate nei secoli. Il primo oratorio, infatti, nasce nella soffitta di una chiesa nel cuore di Roma: era il Cinquecento e i bisogni avvertiti dal suo ideatore erano delle condizioni spirituali precarie di cui desiderava prendersi cura. Andando avanti nel tempo e spostandoci in Lombardia, San Carlo Borromeo risponde all’esigenza di una scolarizzazione e un’educazione cristiana che potesse essere realmente significativa per i giovani che incontravano quotidianamente. Mentre a Bergamo don Luigi Mozzi, don Marco Celio Passi, don Giuseppe Benaglio, Teresa Verzeri e, infine, San Luigi Maria Palazzolo cominciano a rivolgere la propria cura ai bambini e ragazzi più poveri, dando vita alle prime scuole professionali, ampliando così la propria missione educativa e continuando a rispondere ai bisogni della realtà. In piena rivoluzione industriale, nell’Ottocento, San Giovanni Bosco sceglie di accogliere i ragazzi abbandonati nella periferia torinese dando loro una casa che accoglie, un cortile per incontrare, una scuola per la vita e una parrocchia per crescere nella fede, facendo così una sintesi mirabile dell’esperienza dell’oratorio.

La domanda di ogni tempo che, accompagna la missione educativa della Chiesa ed è stata affidata agli educatori, è: di cosa c’è bisogno e come possiamo prendercene cura? È stato dunque chiesto di disegnare su carta millimetrata la realtà dell’oratorio per come è vissuto e abitato oggi dagli adolescenti, per poi aprire al progetto e allo sguardo educativo e pastorale, ridefinendo la mappa sulla base del sogno degli educatori su di loro. Nell’ultima fase, si è poi chiesto di indicare i pilastri dell’oratorio, ovvero ciò che non può mancare perché l’esperienza possa definirsi oratorio. I diversi passaggi ripercorrono il medesimo percorso del documento di riferimento tra passato, presente e futuro, sottolineandone le dinamiche fondamentali di cui continuare a fare tesoro e che gli educatori hanno confermato nelle loro mappe dell’oratorio.

Poggiando sulla “roccia” è possibile guardare al futuro con fiducia e speranza, perché certi di poter abitare le tempeste e le fatiche, ancorati a ciò che conta e ispira. “Camminate con i piedi per terra e con il cuore abitate il cielo” diceva don Bosco ai suoi giovani: lo stesso augurio che, incontro dopo incontro, sta prendendo corpo negli educatori.
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