Che cosa possiamo fare per costruire un mondo più fraterno? È un interrogativo enorme: davanti a una domanda del genere, ciascuno di noi ha il diritto di sentirsi piccolo. È del tutto normale sentirsi impotenti di fronte alle grandi questioni del nostro tempo, ma domenica scorsa percorrendo le vie di Città Alta per raggiungere i “punti di pace”, mettendosi in ascolto delle parole di don Sergio Massironi e pregando insieme con lo sguardo fisso all’Eucaristia, questa sfida è diventata a portata d’uomo. In occasione della Giornata Mondiale della Gioventù e grazie alla collaborazione tra l’Ufficio Pastorale per l’Età Evolutiva, l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, Caritas Bergamasca, il Centro Missionario e l’Ufficio Migranti, accanto a realtà ecclesiali e non, come le ACLI, la rete della pace e disarmo bergamasca, gli scout AGESCI e CNGEI, Centro Servizi al Volontariato, Sermig e i sindacati CISL e CGIL è stato possibile dare vita all’appuntamento “Insieme per la pace”, un’occasione in cui i diversi carismi delle realtà citate hanno potuto arricchire i momenti proposti restituendo ai giovani una visione completa rispetto alla pace nel mondo di oggi.
Il primo movimento verso la pace ha preso forma attraverso tanti passi. Camminando per Città Alta, i partecipanti hanno raggiunto i “Punti di Pace”, luoghi in cui è stato possibile toccare con mano storie e sogni di periferie remote che, anche inaspettatamente, riguardano la vita di ciascuno da vicino. Allargare lo sguardo era la proposta insista nel pomeriggio trascorso nei vari stand in cui sono stati affrontati temi come la mondialità, le migrazioni, il lavoro e la lotta alle disuguaglianze. Basandosi su nuove consapevolezze, la prospettiva si è ampliata ulteriormente grazie al dialogo con don Sergio Massironi, teologo del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Il momento “Parole di pace” ha disegnato nuove coordinate per proseguire il cammino verso la pace passando dalle origini ai gesti quotidiani che possono fare la differenza. “Oggi la Chiesa ha tanto da dire, ma molto di più da ascoltare – ha sottolineato don Sergio-. Siamo chiamati a sviluppare un pensiero cristiano che parta dalle periferie per essere più aderenti alla vita e comprendere le sfide che ogni uomo e donna vive nella propria quotidianità. È anche da qui che si inizia a costruire la pace, dal momento in cui si fa lo sforzo di muoversi per un mondo più fraterno. Quale attrattiva ha il bene? Chi di voi scenderebbe in piazza per la pace? Spesso restiamo immobili perché pensiamo che la pace sia un particolare che non dipenda direttamente da noi. Invece è proprio così: la pace è un dono di Dio che Egli stesso chiede a noi di custodire e che ha bisogno della nostra firma”.
Mettere la propria firma su un dono di Dio significa dare il proprio contributo perché esso diventi realtà. Un impegno che sembra davvero immenso se visto con gli occhi del singolo, ma che diventa più leggero nel momento in cui si ha il coraggio di affidarsi a Qualcuno che, anche nei frangenti più bui dell’umanità, è in grado di donare luce. Lo si legge nel Vangelo di Giovanni nel brano in cui Gesù dona la pace, l’ha sottolineato don Dario Acquaroli quando gli è stato chiesto cosa significhi vivere la pace in carcere, è stato ripreso da Susanna Facheris nel suo racconto del ritorno dall’esperienza vissuta a Betlemme ed è stato ribadito anche dal cardinal Pizzaballa: l’uomo può essere costruttore di pace nel momento in cui prende consapevolezza che è pensato per l’infinito. “In questi giorni di guerra qualcuno si è chiesto quale senso abbia pregare per la pace – ha spiegato il cardinal Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, nel suo intervento-. Eppure, quando viviamo un momento difficile, la prima cosa che desideriamo è avere qualcuno che ci stia accanto. La stessa dinamica accade con la preghiera. Essa non risolve il problema, ma porta nel nostro vivere la presenza di Qualcuno che illumina la nostra vita e apre prospettive che sanno di eternità. Noi da soli ci sentiamo piccoli, ma siamo fatti per l’infinito”. La stessa eternità è stata richiamata dal vescovo Francesco per spronare i giovani nell’impegno per la pace: “Superiamo il condizionale e non nascondiamoci dietro ad esso. Lasciamo da parte i “potrei”, “vorrei”, “dovrei” e alimentiamo il nostro desiderio fino a farlo diventare passione, rivoluzione. Solo passando dall’essere spettatori a diventare protagonisti potremo costruire un mondo di pace. Combattiamo il condizionale, noi siamo pensati per l’infinito. Cerchiamo l’infinito nel finito pregando, digiunando da ciò che è distruttivo e donando l’amicizia. Quest’ultima è il dono più prezioso che possiamo fare al prossimo ed è il fondamento di tutta la pace”. Con queste parole e gli incontri vissuti nel pomeriggio custoditi nel cuore, i giovani hanno vissuto l’adorazione eucaristica nello stesso silenzio di Campo do Graçia: un filo rosso che racconta come la GMG non sia un’esperienza fine a se stessa, ma come questa possa continuare ad esistere nel quotidiano attraverso i giovani che l’hanno vissuta. L’aver sperimentato un mondo più fraterno dona la possibilità di essere portatori di pace perché – come diceva San Francesco- prima di annunciarla, occorre averla nel cuore.