Quando si pensa ai protagonisti dell’estate, il pensiero va ai bambini, ragazzi e adolescenti con diversi ruoli e attenzioni da mettere in campo. In oratorio, però, trovano spazio anche i giovani con iniziative e responsabilità che vanno a caratterizzare la loro estate e a posare nuovi tasselli per continuare a camminare con loro nel resto dell’anno. Indossando le scarpe dei giovani, ad aiutarci è Marco Sala, educatore e coordinatore di alcuni progetti della cooperativa Impronta. Con lui proviamo a capire quale rapporto ci siano tra giovani e comunità e come poter rimettere al centro educazione e cura.
Chi sono i giovani del 2024?
I giovani sono quelli di sempre, ma con qualche differenza rispetto alle generazioni precedenti. Sono giovani che crescono precocemente, hanno molti stimoli e sono in cerca di adulti che possano essere un punto di riferimento. Sono anche coloro che portano nuove istanze parlando di diritti, ambiente e identità.
Chi sono i giovani per la comunità?
Dipende a quale comunità facciamo riferimento. Per la comunità cristiana, i giovani sono persone su cui investire per prendersi cura dei più piccoli e del futuro. Spesso si corre anche il rischio di vederli solo come portatori di bisogni e quasi mai di sogni. È una semplificazione diffusa perché non è sempre facile instaurare una relazione con i giovani ed esiste anche l’impossibilità generale di comprendere fino in fondo un mondo che cambia velocemente dal punto di vista sociale e culturale. Lavorare su interessi, passioni, desideri e sogni dei giovani, oggi è cruciale, anche quando non emergono subito. É proprio questo il significato etimologico della parola “educare”: educere, “tirar fuori”, portare alla luce.
Cosa significa per un giovane mettersi in gioco in una relazione educativa?
Sin da bambini, tutti siamo inseriti in una relazione educativa da cui apprendiamo dei modi di fare e uno stile. Crescendo, i giovani si giocano in due modi all’interno di essa: sono fruitori ed educatori e, in entrambi, i casi la fiducia conta moltissimo. Da un lato cercano una figura di riferimento perché oggi questa relazione è associata anche al discernimento vivendo in un mondo ricco di offerte, possibilità e stimoli. Nelle vesti di fruitori, dunque, conta molto la capacità dell’adulto di sapersi mettere in ascolto e la volontà del giovane di parlare facendo emergere ciò che porta dentro di sé. Dall’altro lato, quando i giovani assumono il ruolo dell’educatore ripropongono, con i loro accorgimenti personali, l’esperienza che hanno vissuto da piccoli.
In entrambi i casi, giocarsi in una relazione educativa richiede tempo e comporta una complessità di fronte alla quale i giovani non vanno lasciati soli. Se si consente loro di costruire un'azione educativa occorre essere aperti alla condivisione di dubbi, fatiche e risorse per aiutarli in questo cammino di crescita.
Come può la comunità di oggi educare al prendersi cura?
Non so come una comunità possa trasmettere questo valore perché non c’è una ricetta perfetta. Sicuramente occorre guardarsi attorno non sottraendoci alle sfide del digitale e alla complessità di questa società che offre mille e più possibilità di scelta. Conoscere il contesto in cui si opera è fondamentale e oggi, rispetto a vent’anni fa, abbiamo più servizi educativi e più educatori sul campo che possono aiutare in tutto questo. In ambito educativo, molte problematiche stanno emergendo, ma ciò che mi preoccupa di più è quello che rimane sommerso. Alle comunità di oggi direi di prendersi cura dell’invisibile, di ciò che non appare e delle povertà educative. Non giriamo lo sguardo, usciamo dai tracciati più comodi e standardizzati per accogliere le fragilità sommerse. Questa scoperta, questo incontro autentico è già una testimonianza forte del prendersi cura che può educare a cascata a prendersi cura del prossimo. Non è un’azione semplice da mettere in atto, ma ne vale sempre la pena.
Un consiglio per continuare a camminare con i giovani
Come adulti non dobbiamo nasconderci. Occorre stare accanto ai giovani senza rincorrerli sul loro terreno, affiancarli consapevoli del nostro ruolo, del nostro essere punto di riferimento anche quando, apparentemente, questo non viene riconosciuto. È un investimento da fare per evitare di alimentare fratture generazionali. Le generazioni esistono da un punto di vista sociologico, antropologico, ma non devono essere il pretesto per scontri o autodenunce da parte del mondo adulto sull'impossibilità di stare al passo con i tempi. Oggi riscoprirsi autorevoli come adulti può essere un buon modo per camminare accanto ai giovani: un modo per riscoprirsi educatori ammettendo i nostri limiti e riconoscendo ciò che possiamo donare alle giovani generazioni.