Scoprire se stessi con nuovi sguardi

Gli educatori dell’oratorio di Brembate hanno puntato sulla semplicità per un campo scuola difficile da dimenticare.

 

Un piccolo paesino sperduto in Trentino, un gruppo di adolescenti e un oratorio in viaggio: pochi ingredienti per una ricetta dal successo assicurato. Gli educatori dell’oratorio di Brembate hanno puntato sulla semplicità per un campo scuola difficile da dimenticare. Palù del Fersina, un paese del Trentino, è stato ravvivato dalla presenza degli adolescenti dell’oratorio di Brembate. Un’esperienza per staccare gli occhi dal telefono e alzare lo sguardo per guardarsi dentro, guardarsi allo specchio e scoprirsi diversi attraverso lo sguardo degli altri.

“Malgrado ci fosse poca neve – racconta Silvia Gaspani, educatrice degli adolescenti – il campo scuola è sempre un’esperienza che lascia il segno sia in noi educatori sia nei ragazzi. I ragazzi si sono divertiti molto. Hanno detto che è stato il campo migliore di sempre, nonostante la sua semplicità. Sapersi accontentare e divertirsi con quello che si ha a disposizione è importante. Sono bastati un pallone, un campo da calcio innevato e tanta voglia di giocare per divertirsi”.

Stare con gli altri nella semplicità è anche un modo per spronare i ragazzi a ragionare su argomenti che non affrontano quotidianamente. Il filo rosso del campo scuola dell’oratorio di Brembate è stato l’identità. Un’occasione sia per guardarsi dentro, ma anche per cambiare prospettiva. “Il titolo del campo era ‘Essere o non essere? Questo è (o non è) il problema’ -prosegue Silvia-. Abbiamo basato le varie attività del campo scuola sui temi della diversità e della disabilità. Un argomento un po’ difficile che, però, i ragazzi hanno affrontato senza timidezza o problemi”. Per approfondire la riflessione sulla disabilità, gli adolescenti hanno anche fatto una cena al buio per mettersi nei panni di chi ha perso la vista.

“È difficile capire chi sei, chi sei agli occhi degli altri e chi vuoi essere – aggiunge Mattia Tasca, educatore adolescenti -. Abbiamo spronato i ragazzi a rispondere a queste provocazioni. Dalle riflessioni sono usciti degli spunti molto interessanti”.

Si cresce riflettendo, si cresce anche facendo, condividendo degli spazi della propria quotidianità. La scelta della montagna è tutt’altro che causale perché, anche se guidata da una sorta di tradizione, il luogo è un terreno fertile per creare legami e riflettere. “Abbiamo scelto di fare l’esperienza del campo scuola in montagna perché riesce a unire molto i ragazzi. Ogni ragazzo ha le sue mansioni per gestire la casa. Ognuno fa la sua piccola parte per far sì che tutto vada bene” spiega Mattia che ammette di aver avuto la possibilità di conoscere le stesse persone, ma sotto una nuova luce. “Il ricordo più bello di questa esperienza – dice Silvia – sono le grandi amicizie che si sono create: il campo scuola è anche un’occasione per legare fra noi educatori e con i ragazzi”.

Il campo scuola è un’esperienza importante in tutti gli oratori. Gli adolescenti dell’oratorio di Brembate tornano a casa con un bagaglio ricchissimo. “I ragazzi amano venire al campo scuola. Per loro è un’esperienza diversa dal solito. Sono autonomi, lontani fisicamente dalle famiglie, hanno le loro responsabilità e i loro compiti. Sicuramente portano a casa tanta felicità, tanta voglia di fare e di crescere insieme, oltre alle nuove cose imparate”.

“Per noi educatori è un’esperienza indescrivibile – continua Silvia -. Non sai cosa aspettarti e ogni campo scuola è diverso dall’altro. Impari sempre cose nuove. È bello conoscere nuovi ragazzi che ti arricchiscono le giornate e ti fanno vedere il mondo con occhi diversi. Per non parlare dei cuochi, punto di riferimento per molti di noi. Oltre a preparare ottimi piatti, sono volontari che sanno sempre trovare la parola giusta con noi e con i ragazzi”.

Don, educatori, volontari e ragazzi sotto lo stesso tetto per qualche giorno condividendo ciò che di più semplice si ha: se stessi. Un’esperienza che ha il sapore delle sfide che non si può far a meno di affrontare. “Queste esperienze aiutano anche noi educatori perché ne siamo usciti molto più uniti – conclude Mattia -. Un educatore porta a casa tanta gioia, tante lezioni da cui imparare e tanti sorrisi che i ragazzi regalano. Per i ragazzi è una buona esperienza, vivono una vita diversa senza avere telefono tra le mani costantemente. Ognuno di loro ha avuto il suo spazio e il suo ruolo quindi li aiutiamo a crescere con una prospettiva per il futuro”.

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