"Io educatore..." a Mezzoldo

Il corso residenziale è un punto di incontro, confronto e ripartenza.

Il corso residenziale a Mezzoldo è ormai diventato una garanzia. Nei quarantun anni di storia dell’Ufficio Pastorale dell’Età Evolutiva, il corso ha raggiunto la sua quarantesima edizione proprio nel 2022 dimostrandosi – ancora una volta – un punto di incontro, confronto e ripartenza importante per tanti giovani della nostra diocesi. La presenza di sessanta corsisti racconta come l’oratorio possa essere davvero una casa per tutti e un luogo di crescita per le giovani generazioni. 

I cinque giorni passati a Mezzoldo sono stati un vero e proprio viaggio: un viaggio per conoscere diverse realtà della diocesi, ma anche un viaggio all’interno di sé, poi rivolto verso gli altri e l’oratorio. Il primo passo è stato l’incontro. Un pezzo di scotch sulla maglietta con scritto il proprio nome è bastato per rompere il ghiaccio e lasciare da parte la timidezza. I corsisti hanno iniziato conoscendo realtà diverse dalla loro per poi buttarsi -il giorno dopo - nei lavori di gruppo. Da qui è iniziato il viaggio personale di ciascuno definendosi come “educatore”. 

“Io educatore…” è stato il filo conduttore di tutta la formazione svolta a Mezzoldo. I giovani hanno prima riletto loro stessi tra potenzialità e fatica per poi volgere lo sguardo all’esterno e scoprire il valore della relazione. Se è vero che si educa sempre in relazione all’altro, l’importanza della squadra degli educatori emerge forte e chiara. Come viene sottolineata l’esigenza di prendere consapevolezza del luogo in cui prende forma questo servizio: l’oratorio. Più che di un luogo, in questo caso, bisognerebbe parlare di uno stile che sa di Vangelo. Volgendo lo sguardo in avanti, i corsisti hanno immaginato l’oratorio del futuro partendo dai quattro pilastri consegnati da don Bosco per poi dedicarsi alla dimensione spirituale dell’educatore. 

Da futuri educatori, i corsisti a Mezzoldo si sono confrontati anche con il tema delle fragilità. L’obiettivo era quello di ribadire nuovamente come non esista un educatore immaginario o perfetto, ma esistono questi giovani che si mettono al servizio. Non servono dei supereroi per essere educatori: servono persone con il desiderio di spendersi per l’altro e di stargli accanto anche nella fragilità. Accogliere le difficoltà, proprie e altrui, è un gesto che umanizza il proprio servizio e crea relazione. 

Ultimo passo, ma non meno importante: la spiritualità. La messa ha concluso questa avventura, ma i momenti legati alla fede hanno scandito le giornate trascorse a Mezzoldo. Si è passati dalla figura di San Luigi Palazzolo, un “don Bosco” bergamasco a tutti gli effetti, al brano di Vangelo che racconta la missione di Pietro per sentirsi chiamati a una vita piena. È la spiritualità a mettere i puntini sulle “i”, a dare sapore al servizio di educatore svolto in oratorio. È la fede a dare valore ad ogni gesto.

“Nonostante Mezzoldo si proponga come un corso di formazione per educatori d’oratorio -racconta Ferruccio Cogi, uno dei corsisti proveniente da Romano di Lombardia- ai corsisti durante i cinque giorni non sono state consegnate formule magiche o modus operandi infallibili. Il vero scopo dell’esperienza non è stato semplicemente quello di imparare a fare l’educatore, ma quello di imparare a porsi domande e a riflettere su tali domande, anche quando non si trova o non ci può essere una risposta, accettando le proprie fragilità e i propri dubbi, perché, citando San Luigi Maria Palazzolo: là dove nessuno arriva, arrivo io, così come posso”.

Ora, ogni corsista ricomincerà il suo cammino nel proprio oratorio ed è qui che viene il bello. Perché - come scrive don Michele Falabretti in una della sua riflessioni - “il processo pastorale non riparte mai dal niente, ma nella memoria di ciò che si è fatto è scritta la direzione per ciò che ancora ci aspetta. Il percorso fatto dal gruppo rimane come patrimonio. E le relazioni sono preziose perché creano comunità (“fanno Chiesa”) e fanno crescere l’umanità delle persone”. Ci si rimette in viaggio con un patrimonio prezioso, ma soprattutto condiviso per continuare a camminare all’unisono anche a distanza. 
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